Si è svolto mercoledì 22 maggio 2019 il terzo incontro nell’ambito dell’evento “Margini: riscoprire l’identità nella città-territorio. Giancarlo Marzorati e i progetti per l’accoglienza, il benessere, la cultura”. Il tema: “Città è musica”.

Le relazioni:

Carlo Capponi, architetto, responsabile Ufficio Beni Culturali, Arcidiocesi di Milano

Le chiese sono per eccellenza case della musica. La chiesa infatti è il luogo nella città più intimamente legato alla musica. Anzitutto perché questa fa parte integrante della liturgia, attraverso il canto che nella storia è accompagnato dal suono dell’organo.

L’intervento di Carlo Capponi.

Al riguardo notevole è l’organo progettato da Marzorati nella chiesa del Sacro Cuore di Triante a Monza: con reminiscenza neobarocca si presenta come una nuvola sospesa in alto da dove il suono si diffonde lungo tutta la navata. In secondo luogo perché nella tradizione il tempo è sempre stato scandito dal suono delle campane. Che nelle città questo non sia più tanto presente, o a volte sia addirittura recepito come un disturbo, è fatto recente. Nelle campagne e nei paesi, ancora i rintocchi, aleggiando all’intorno, scandiscono il succedersi delle ore e annunciano eventi, lieti o luttuosi, matrimoni, o funerali, come anche i tempi forti dell’anno liturgico: Natale, Pasqua, le solennità dei Santi… E v’è tutta una grammatica nel suono delle campane che distingue i tanti diversi messaggi che esse recano. Quindi, prima ancora che i contemporanei auditorium, le chiese erano — e rimangono — luogo per eccellenza abitato dalla musica e dedicato alla musica.

 

Paolo Cattaneo, docente di Semiotica della Musica, Università Statale di Milano, concertista, musicoterapista:

La musica e l’ascolto nel paesaggio sonoro urbano

La musica non è un’attività riservata, ma appartiene a tutta la comunità con importanti implicazioni socioculturali. Ognuno di noi, in quanto “homo audiens”, apprende spontaneamente il linguaggio musicale di appartenenza acquisendo una competenza di base che prescinde dallo studio specifico di uno strumento o di una disciplina teorica.

La musica, dunque, ha una valenza comunicativa non accessoria, ma essenziale in virtù del fatto che costituisce una modalità di espressione non verbale condivisa. Un corretto approccio educativo sarà poi determinante per favorire una consapevolezza audiopercettiva indispensabile per godere e interiorizzare pienamente l’esperienza musicale nelle sue complesse stratificazioni fenomenologiche.

Paolo Cattaneo.

Senza l’ascoltatore, infatti, la musica perde la sua cifra comunicativa, simbolica, spirituale, depauperandosi in una sorta di sottofondo che R. Murray Schafer nel suo fondamentale lavoro The Tuning of the World (tradotto in italiano col titolo Il paesaggio sonoro) definisce “Moozak”, ovvero una sorta di poltiglia sonora, avulsa da una benché minima esperienza di ascolto, percepita solo come uno sfondo anestetizzante. Ebbene, la città è perfettamente allineata a questa prospettiva, non certo entusiasmante, e ancora oggi manifesta la sua atavica ritrosia a valorizzare gli aspetti più edificanti della musica intesa non solo come prodotto artistico, ma anche come fenomeno sociale ad ampio spettro relazionale, indispensabile per l’accoglienza, il benessere, la cultura.

La città è musica, non soltanto perché offre stagioni ricche di concerti, in ambiti e generi diversificati, aspetto sicuramente importante e auspicabile; la città è musica anche perché sa ascoltare e ascoltarsi, sa interpretare la grande partitura del “paesaggio sonoro” in cui si inscrive e, in tal senso, la musica costituisce un’esperienza irrinunciabile che deve irradiarsi in tutti i gangli del tessuto urbano. Un buon ascoltatore, sensibile alle valenze affettivo-emozionali del linguaggio musicale, può essere un cittadino più armonizzato nel contesto sociale in virtù di una probabile maggior disponibilità relazionale, così come attraverso il canto, modalità espressiva ancestrale che ci appartiene fisiologicamente e che nonostante ciò spesso reprimiamo da adulti, è possibile una comunicazione più autentica e disinibita, manifestazione di una dimensione interiore alla quale non dovremmo rinunciare.

Se poi pensiamo che nel secondo dopoguerra le nostre città sono state ricostruite con il lavoro dei muratori, dei carpentieri, spesso scandito dal canto di una canzone sui ponteggi, ci rendiamo conto inequivocabilmente del rapporto inscindibile tra quelle voci, intrise di fatica e sudore, e la durezza della quotidianità del cantiere, mitigata da melodie pregnanti e condivise. D’altronde, la storia ci insegna che il canto, vera e propria fonte di energia vitale, ha accompagnato e sostenuto la vicenda massacrante delle mondine, degli alpini, dei neri nelle piantagioni di cotone. Se dunque il canto sorregge il corpo, nondimeno edifica lo spirito; e l’uomo, edificato nello spirito, diventa “Homo faber”, edificante, appunto.

Oggi tutto passa attraverso il visivo, il display; la cosiddetta “civiltà dell’immagine” ha sclerotizzato inevitabilmente le altre dimensioni sensoriali, indebolendo fortemente le capacità di ascolto e, dunque, la disponibilità a porsi in relazione. In buona sostanza, viviamo in una sorta di società “monosensoriale”, incentrata prevalentemente sulla percezione visiva. Questo inesorabile decadimento di una consapevole dimensione audiopercettiva sta creando enormi problemi anche in campo educativo. I bambini sviluppano sempre meno qualitativamente le aree corticali uditive funzionali all’ascolto inteso come elaborazione e interiorizzazione. Da decenni, ormai, le istituzioni preposte all’educazione e alla formazione devono misurarsi con queste problematiche, spesso direttamente correlate all’incremento di disturbi della percezione e dell’apprendimento (DSA).

Una città insensibile alla relazione di ascolto, alla dignità espressiva dell’uomo, alle fondamentali tematiche pedagogiche/andragogiche e quindi all’educazione dei suoi abitanti in tutte le fasce di età, rimarrà sempre un’immensa “periferia”, intrisa di solitudine, disagio, di degrado relazionale, sclerotizzata nella sua dimensione anaffettiva e non accogliente.

Allora la città, in quanto agglomerato di individui, è musica davvero solo se chi la abita può sviluppare una coscienza di ascolto all’interno delle istituzioni parentali (la famiglia), scolastiche, ricreative (sale da concerto, teatri, spazi adibiti all’ascolto della musica), lavorative/aziendali e, in ambito sanitario, favorendo l’impiego istituzionale della prassi musicoterapica in contesti operativi diversificati (psicoeducativo e sociosanitario). In tal senso, va precisato che la musicoterapia ha un suo statuto epistemologico, comprovato da dettami metodologici, dove la musica mediante le sue componenti va a stimolare olisticamente la persona sul versante psicocorporeo (ritmo), affettivo-emozionale (melodia), cognitivo (armonia).

Sarebbe auspicabile incrementare in ogni quartiere anche gli spazi specifici adibiti alla pratica musicale vocale/strumentale e di ascolto della musica, favorendo le esperienze corali, la formazione di ensemble strumentali diversificati (la valenza aggregativa/espressiva della banda docet), la nascita di centri di ascolto rivolti a tutte le fasce di età.

Persino le aree adibite a verde urbano (giardini, parchi) potrebbero costituire un luogo di sperimentazione sonora attrezzandone piccole porzioni con strumenti idiofoni come campane tubolari in successione diatonica o pentatonica, piccoli membranofoni etc., istituendo anche dei momenti guidati per stimolare la creatività musicale attraverso dei “percorsi sonori”.

Una città che comprende, accoglie, educa ed edifica l’individuo che costruendola e abitandola la rende viva, attiva, funzionante, non può rinunciare alla musica, intesa non certo come panacea di tutti mali, ma come Weltanschauung, valorizzandola nei suoi aspetti relazionali, educativi, terapeutici e, nel contempo, come bene culturale/artistico irrinunciabile per conservare la nostra identità.

Attenzione, però, il rapporto è biunivoco! Anche i musicisti devono fare un passo avanti per guardare oltre i confini della prassi esecutiva/compositiva riconoscendosi in un manifesto etico della musica volto ad accogliere la città nella complessità e ricchezza del suo paradigma espressivo.

( Il Prof. Cattaneo ha ringraziato Costanza Sansoni che ha svolto un esemplare intervento canoro).

Ruben Jais, direttore artistico dell’Orchestra Sinfonica e Coro Sinfonico di Milano Giuseppe Verdi:

L’edificio dell’Auditorium di Milano ha compiuto 80 anni. Nacque come Teatro Massimo e fu poi trasformato in cinema. L’architetto Marzorati è riuscito a mantenere quanto più possibile la struttura originale, a partire dalla ghiera in cemento armato del soffitto: ora lasciata a vista, valorizzata e divenuta un segno rilevante nell’insieme dell’auditorium. Allo stesso tempo l’elaborazione acustica è stata di grande raffinatezza, al livello delle migliori sale da concerto europee. Ha un riverbero, in presenza di pubblico, tra i 2,5 e i 3 secondi: ottimale. Tanto che è usata correntemente per registrazioni da diverse case discografiche; per esempio vi hanno registrato cantanti di primo piano, come Juan Diego Flórez o Plácido Domingo.

Ruben Jais.

Nei concerti il pubblico può godere in modo ottimale la potenza complessiva dell’orchestra, del pari apprezzando le agilità musicali sin nei minimi dettagli. Ogni particolarità nella sala è curata: il legno delle sedute e delle pannellature bombate alle pareti favoriscono al meglio la diffusione sonora. Complesse sono state le operazioni che hanno consentito di raggiungere il risultato attuale: dal risanamento del sotterraneo, ora usato come foyer, al sollevamento e riposizionamento della copertura tramite martinetti. Fondamentale è che Marzorati riesce a tenere assieme l’aspetto funzionale e quello estetico, così da ottenere un risultato finale equilibrato e di elevato pregio – l’ho apprezzato anche in altre sue opere, come l’Auditorium “Manzoni” di Bologna per esempio. Segue un approccio di grande semplicità. Recentemente si è pensato di dotare l’Auditorium di Milano di un organo e ho seguito il modo in cui, partendo dall’aspetto funzionale formula l’idea progettuale, trasportandola subito anche sul piano estetico: con semplicità ed efficacia. Senza che l’un aspetto, funzionale o estetico, prevalga sull’altro. Mi sembra che questo sia frutto di grande capacità professionale, di rara virtù architettonica.

 

Alberto Artioli, soprintendente per i Beni architettonici e per il Paesaggio, Milano:

Sono state date tante definizioni di bene culturale. E quella di Umberto Eco, che lo descriveva come “un flusso di comunicazioni con un supporto fisico”, si adatta perfettamente all’Auditorium di Milano dopo il magistrale restauro condotto da Giancarlo Marzorati. Il recupero dell’edificio, progettato da Alessandro Rimini nel 1940, non solo è stato capace di reinterpretare lo spirito di questa preziosa architettura ma anche di restituirle l’essenza più intima rivitalizzando quel “flusso” di vita che si era malinconicamente interrotto a seguito della crisi delle sale cinematografiche.

Alberto Artioli.

Com’è noto queste sale, soprattutto se ubicate nei centri urbani, hanno sofferto una particolare crisi a causa delle modificate abitudini sociali e ora anche delle innovazioni tecnologiche che hanno moltiplicato le offerte audiovisive con mezzi alternativi. Giancarlo Marzorati ha saputo proporre un nuovo modello funzionale che ha consentito la continuità di un’attività pubblica e collettiva, al fine di salvaguardare il significato culturale dell’edificio storico. Partendo dall’assunto che la tutela migliore per un edificio sia quella di assicurare una funzione che a volte, come la storia ci insegna, le mutate condizioni socio-economiche ci obbligano a modificare, è stato individuato un nuovo percorso progettuale, capace di garantire comunque lo svolgimento di una rilevante attività culturale. Tale processo appare aderente alle indicazioni della disciplina del restauro: la Carta di Venezia del 1964, uno dei capisaldi di tale dottrina, introduceva infatti l’importante novità della “conservazione attiva” che superava il pensiero della “conservazione passiva” auspicando e riconoscendo, all’articolo 5, come fondamento dell’azione di tutela, l’utilizzo dell’oggetto: “La conservazione dei monumenti è sempre favorita dalla loro utilizzazione in funzioni utili alla società: una tale destinazione è augurabile ma non deve alterare la distribuzione e l’aspetto dell’edificio.

La conservazione, da azione di semplice mantenimento e custodia dei valori è diventata nelle mani sapienti di Marzorati, un virtuoso processo di trasformazione che accumulando pregi, passati e presenti, ha esaltato il significato dell’opera di Rimini.

Stefano GuadagniCofondatore e vicepresidente di Associazione Parco Segantini Onlus:

La conchiglia della Musica nel Parco Segantini, nascita, sviluppo e eutanasia di un’idea

1.Il contesto. Nel parco Segantini è attiva dal 2013 un’associazione i cui volontari in convezione con il Comune gestiscono degli orti, un’area naturalistica e un filare di alberi lungo la via Segantini, organizzandovi anche varie attività ed eventi con un modello di coinvolgimento attivo degli abitanti della zona, delle scuole e di altri enti e associazioni.

2. Nascita del progetto. Nel 2016 l’Associazione mette a punto una serie di nuovi progetti per un uso diversificato del verde urbano da parteb di un maggior numero di fasce di utenza, che vengono raggruppati in un progetto-contenitore, milanosmartpark, “il verde intelligente per la tua città”, la cui realizzazione crei il modello efornisca il know-how per la duplicabilità in altre aree del verde pubblico.
Il progetto, dal peso economico è molto superiore a quanto fino a quel momento gestito dall’Associazione, ottiene il supporto della Fondazione Cariplo

L’intervento di Stefano Guadagni.

Il progetto di maggior spicco del pacchetto è un palcoscenico per piccole performance musicali di qualità all’aperto (quasi tutti gli eventi dell’Associazione comprendono una fase di musica) per la cui programmazione musicale troviamo la sostegno dell’orchestra Verdi, del vicino Auditorium. In questo modo anche con questa attività perseguiamo il modello della rete di collaborazione con competenze e eccellenze del territorio.

Su indicazione della direzione dell’Orchestra Verdi l’Associazione si rivolge all’arch. Marzorati, progettista dell’Auditorium, una struttura acustica notoriamente fra le più eccellenti. L’architetto accetta dopo aver viositato il luogo e essersi informato delle altre attività che vi si svolgono e delle modalità di gestione.

L’idea base del suo progetto architettonico è semplice, funzionale e bella: viene presentata al settore Verde e Giardini del Comune, che la accoglie. O meglio, non la respinge:

da questo momento, infatti si avvia una lunga serie di incontri, riunioni, per definire gli aspetti tecnici, le modalità d’uso, tempistiche, con numerose richieste di pareri anche da enti non sempre ben individuabili: la Paesaggistica, la Sovrintendenza, Il Municipio etc etc.

Ma noi teniamo duro – e con noi, generosamente, l’architetto Marzorati – quindi possiamo saltare all’epilogo: dopo un buon numero di stop and go, il permesso viene finalmente concesso (Luglio 2018). Nel frattempo siamo anche riusciti a ottenere in donazione da un’azienda siderurgica i tubi di acciaio, materiale di base per la costruzione. Il teatrino si fa.

3. Eutanasia del progetto. E proprio appena ottenuta la laboriosa autorizzazione, ecco che sorgono un po’ di problemi:

a. Innanzitutto il tempo concesso per la realizzazione, è di soli 4 mesi, di cui due di fermo estivo.

b. l’autorizzazione prevede la cogestione della programmazione con il Municipio, il che lascia prevedere complicazioni sul piano decisionale sul piano procedurale.

c. nonostante le ripetute promesse, al momento di partire coi lavori nel parco non sono state realizzate le dotazioni di base pur programmate (area giochi e percorso vita): non ci sembra opportuno spendere una cifra così ragguardevole per una dotazione certo eccellente e qualificante, ma sicuramente non di primissima necessità.

d. un nuovo regolamento del Comune prevede la messa a bando di tutte le convenzioni quando giungono a scadenza. Non è piacevole l’idea di passare la mano dopo aver fatto tutto il lavoro di progettazione, finanziamento e avviamento dell’attività.

e. Anche l’Orchestra Verdi ha i suoi problemi finanziari, e il previsto sostegno musicale, di programmazione e di concerti, parte integrante e qualificante del progetto potrebbe essere fortemente ridimensionato rispetto alla intenzioni iniziali.

Sintetizzando: poco tempo, complessità della gestione mista pubblico-privato, costi inappropriati alla persistente carenza di dotazioni basilari del Parco, incertezza sul vicino futuro della gestione e sul vecessario supporto culturale. Questi cinque elementi ci convincono a rinviare – con grandissimo rimpianto e con altrettanto rammarico nei confronti dell’arch. Marzorati che tanto si è prodigato – questo bellissimo progetto.

Ma, magari, se le condizioni muteranno…

 

 

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