Corrado Gavinelli
LA (NON) CENTRALITA’ DEL TEMPIO PER LO SVILUPPO DELLA CITTA’, NELLA CULTURA OCCIDENTALE – Parte Seconda
Nonostante la radicata convinzione che l’edificio della Chiesa costituisca sempre il luogo di accentramento urbano e di sua corrispondente espansione cittadina, questa idea ha rappresentato un aspetto effettivo soltanto per alcune epoche storiche, e in località specifiche; ma per altre condizioni contingenti (politiche, economico-commerciali, e di progetto urbanistico) ha preso sovente altre forme e modalità di propria definizione contestuale, consistenti in alternative espressioni di differente de-centralismo
“Unite gli estremi, e avrete il vero centro” (Karl Wilhelm Friedrich Von Schlegel, Frammenti, 1797-1798)
Proseguendo la precedente esposizione storico-critica (ed iconologico-iconografica) sulla Centralità del Tempio quale elemento di evoluzione urbana, non sempre verificatosi come tale nella evoluzione delle epoche antiche ed attuali (almeno seguendo il modello di sviluppo della cultura occidentale), occorre adesso esaminare altre varie condizioni di effettivo sviluppo urbanistico nei confronti di specifici edifici di preminenza urbana.
Varietà, e non ripetizione
E’ la variazione, comunque, come nella vita biologica e nelle trasformazioni della cultura nel pensiero umano, a definire le condizioni della uniformità, aggiungendo cambiamenti alle situazioni solite, e stabilendo novità e diversità dal modello consolidato e della consuetudine.
E così, nelle città antiche come nelle metropoli moderne ed attuali, per la Centralità del Tempio religioso esistono conferme e rifiuti, ma soprattutto deviature, che si possono riscontrare facilmente in alcuni esemplari casi all’interno del conflittuale rapporto già precedentemente considerato di preminenza tra Chiesa e Municipio, che risolutivamente viene spesso determinato in un confronto diretto ravvicinato, come ho già osservato, sullo stesso luogo della piazza cittadina principale, oppure drasticamente separato in due posti distanti, e tra loro indipendenti (e indifferenti).
Quella ideale, orgogliosamente vantata dalla cristianità medievale, centralità urbanistico-spaziale ostentata dalle autorità ecclesiastiche quale affermazione assoluta (non soltanto monumentalmente architettonica) del proprio potere terreno nelle città, di imposizione dimensional-formale sul suo intorno composto di caseggiati minuscoli e del tutto normali, si può con evidenza figurativa emblematicamente riscontrare nella prima rappresentazione di Londra eseguita nel 1247-55 per un manoscritto (la Chronica Majora) del monaco benedettino Matthew Paris (Matteo Da Parigi), storico miniaturista e cartografo, reso pubblico per la ricopiatura seriale da parte degli amanuensi nel 1259: in cui la Cattedrale gotica (del 1137-1314) di San Paolo, emerge dominante da un idealizzato contesto cittadino della vecchia capitale britannica rinchiusa entro una tonda (e approssimativa) muratura difensiva di genere medievale [Figura 61 (e 62)].
Figura 61
Figure 61, e 62 – La prima raffigurazione di Londra, miniata nel manoscritto della ‘Chronica Majora’ composto nel 1247-55 dal monaco benedettino Matteo Da Parigi (Matthew Paris), storico miniaturista e cartografo inglese: in cui la Cattedrale gotica (del 1137-1314) di San Paolo, emerge dominante da un idealizzato contesto cittadino dellavecchia capitale britannica richiusa entro una tonda (e approssimativa) muratura difensiva di genere medievale [sopra]; e la plausibile composizione del tempio sanpaolino (La Vecchia Cattedrale di San Paolo in Londra) nella ricostruzione del pittore e calcografo britannico William Henry Prior del 1875: “Incisione Typografica” pubblicata sul testo ‘Antica Architettura Cristiana’ del 1913 dallo storico inglese Francis Bond [sotto]. Entrambe fCG 2024
Ma anche nella realtà oggettiva di oggi tale straordinaria preminenza si può notare nelle città di formazione che dal Medioevo complessivamente sono cresciute dentro una conforme volumetria urbana bassa, sovrastata dalla imponente massa costruttiva delle cattedrali di forme (ed epoca) gotiche, come appare nella sua concretezza monumentale il dominante Duomo di Amiens in Francia, già precedentemente considerato [Figure 63, e 64].
Figure 63, e 64 – Fotografo Ignoto, Grande Veduta di Amiens, 1949. La grossa emergente massa architettonica del duomo gotico (eretto fondamentalmente tra il 1220 ed il 1288 dal Canonico locale Robert De Luzarches, e quindi dal confratello Thomas de Cormont, e di suo figlio Regnault) ancòra in epoca novecentesca attesta la caratterizzante predominanza centristica del tempio religioso sul tessuto cittadino che gli è cresciuto intorno [sopra] (ma per la verità cronachistica, la foto è una rielaborazione cromatizzata composta sulla originaria immagine – Amiens – scattata 1884/85 dal famoso fotografo francese Edouard Baldus) [sotto]
Una situazione di eccezione, questa, che però – come già ho prima osservato – la affermazione socio-politica della istituzione dei Comuni (e poi la permanenza delle Signorie, e quindi i successivi subentri municipali) hanno destituito da questo ecclesiale isolato dominio unico, imponendo altri modelli localizzativi con altrettanti criteri visivi e sistemi di relazioni spazio-volumetriche di evidenza e dominio: tramite cui il decentrato Edificio Civico viene disposto in una sua autorevole rilevanza assoluta (come è percepibile a Firenze nel maestoso Palazzo Vecchio poi della Signoria del Ducato dei Medici) rispetto ad altre anche importanti architetture cittadine (quale la prevalente Cattedrale di Santa Maria del Fiore) [Figure 65 e 66].
Figure 65 e 66 – Fotografo Ignoto, Piazza della Signoria a Firenze, senza data; e Autore Anonimo di Viator, Veduta del Duomo di Firenze, senza data. Un tipico caso di sdoppiamento dominante sul contesto urbano è costituito dalla opposizione emergente del Palazzo Vecchio (poi della Signoria del Ducato dei Medici) con la sua elevata Torre Civica (l’edificio gotico è stato eseguito tra il 1299 e il 1314 dall’architetto senese Arnolfo di Cambio, autore anche del locale duomo cittadino) [sopra], nei confronti di altre anche importanti architetture cittadine (quale la prevalente Cattedrale di Santa Maria del Fiore – costruita dal 1296 al 1368 sempre ad opera cambiana – con il suo Campanile giottesco – innalzato dal pittore toscano Giotto Di Bondone nel 1334-37, continuato dallo scultore Andrea Pisano dal 1338 e concluso dall’artista fiorentino Francesco Talenti nel 1359 – e la poderosa cupola rinascimentale del noto architetto di Firenze Filippo Brunelleschi, che ne compì la grande cupola tra il 1420 e il 1436) [sotto]
Si riconoscono poi, in questa nuova situazione di centralismo distaccato tra edificio ecclesiale e palazzo civico, anche il caso di paritetiche presenze accostate dei due tipi di architetture, religiosa e civile; nel modo più estremizzato del quale (uno a fianco all’altro) si ritrova testimoniato a Brescia nella straordinaria vicinanza contigua tra il Broletto (Palazzo del Governo e sede amministrativa cittadina, nella sua versione rifatta ed ampliata del 1223-27) e la antica (paleocristiana, del 608-11, variamente rifatta dall’anno 800 e dopo) Basilica di San Pietro De Dom (adesso sostituita – dal 1603 – con una nuova costruzione tardo-manieristica, adeguata alle richieste ritual-stilistiche della Controriforma, completata poi neoclassicamente nel 1825) [Figura 67].
Figura 67 – Wolfgang Moroder, Il Broletto e la Torre del Popolo (Pegol) a Brescia, 2021 [sopra]. Caso eccezionale di binarietà dominante, con Chiesa e Municipio accostati una di fianco all’altro. Il turrito edificio brolettiano, costruito in pietra dal 1223 al 1227 e completato tra il 1295 e il 1298, è stato realizzato accanto al più poderoso volume del Duomo Nuovo (che adesso costituisce la chiesa rifatta dal 1603, con una nuova costruzione tardo-manieristica, adeguata alle richieste ritual-stilistiche della Controriforma, completata poi neoclassicamente nel 1825; all’inizio però composta da una basilica paleocristiana, del 608-11, dedicata a San Pietro De Dom, variamente rifatta dall’anno 800)
Qualche, altra e differente, situazione circostanziale
Resta invece, comunque, intermediamente ai precedenti aspetti speciali analizzati poco sopra nel rapporto di tempio ed edificio del potere pubblico, la tematica più diffusa e meno rigidamente istitutiva della varianza (diversità oppure divergenza, e lontananza), che si esprime in numerosi esempi di ogni genere nelle città storiche soprattutto europee, con una permanenza ancòra oggi alquanto persistente.
Per cui, mentre l’italiana Siena ostenta una maestosa piazza civica davanti all’imponente Palazzo Pubblico (eseguito in forma più contenuta dal 1282 al 1284, ma costruito come ora lo si vede tra il 1297 e il 1310 dal Governo dei Nove della Repubblica senese), che supera in volume ed altezza ogni altro edificio circostante, e della città, totalmente a disposizione fruitiva per la popolazione (quando non vi viene effettuato il famoso Palio: gara equestre non però di origine medievale, poiché la corsa venne introdotta nel 1633, e prima costituiva soltanto una parata cerimoniale del governo e delle contrade) [Figura 68], da una altra parte dell’urbe, pure essa del tutto isolata nella sua compiutezza tardo-gotica (1155-1179/1220-1370), si ritrova il possente Duomo cittadino (la Cattedrale di Santa Maria Assunta, realizzata dagli architetti Giovanni Pisano, toscano, e Camaino Di Crescentino, senese) con il suo piazzale davanti e laterale, anche esso luogo di utenza tipica, frequentazione pubblica [Figura 69].
Figura 68 e 69 – Fotografo Anonimo di ‘Fontanella Estate’, La Piazza del Palazzo Pubblico a Siena, senza data; e Raimond Spekkig, Duomo di Siena, 2013. Diverso caso di differenzazione dominante tra palazzo civico e chiesa cattedrale, ognuno indipendente e collocate in aree lontane, sono il Palazzo Pubblico sulla Piazza del Campo con la sua elevata torre (edificio eseguito in forma più contenuta dal 1282 al 1284, ma costruito come ora lo si vede tra il 1297 e il 1310 dal Governo dei Nove della Repubblica senese) [sopra] e la Cattedrale di Santa Maria Assunta, realizzata dagli architetti Giovanni Pisano, toscano, e Camaino Di Crescentino, senese [sotto]
La cui drastica separazione stabilisce una evidente bipolarità urbanistica, ancòra adesso visibile, e sensibile, anche nel panorama cittadino attuale.
Ulteriore diverso bipolarismo si rivela invece nelle due grandi piazze maggiori della picena Ascoli: quella del Popolo – contenente il medievale Palazzo dei Capitani (di epoca duecentesca ricostruito nel 1518-46) insieme alla Chiesa di San Francesco (1565-1623), di grande utilizzo cittadino – ed il piazzale Arringo (sui cui lati stanno affacciati il vecchio Palazzo dell’Arengo – originariamente medievale e poi rifatto dal 1675/79 al 1745 – e la Cattedrale di Santo Emidio, opera cominciata nel 1482, e compiuta dall’artista e architetto ascolano Nicola Filotesio, detto Cola dell’Amatrice, tra 1529 e 1539) [Figura 70]. Due indipendenti spazi di diversa importanza civico-ecclesiastica che in pratica si pongono in contrapposizione tra loro, per la disponibile ambientalità pubblica, e per importanza dei loro edifici, in una distanziata presenza di riscontro antitetico, di piena autonomia ed in una sostanziale non-conflittualità.
Figura 70 – Cartografo Anonimo di ‘Lombardo Geosystems’, Mappa di Ascoli Piceno, senza data (fCG 2024) [sopra]. Dettaglio sulle Piazze del Popolo (in alto a sinistra) e Arringo (in basso a destra), tra di loro indipendenti, ma entrambe contenenti importanti edifici pubblici del potere, ecclesiastici e laici, analogamente collocati; e la cui autononmia genera una sorta di indifferenza urbana nella priorità di emergenza architettinca dei monumenti
Devianze condizionate e trasposizioni epocali
Riprendendo invece l’argomento della divergenza localizzativa tra tempio e palazzo comunale o civico, vicini ma non più insieme al centro dello spazio principale cittadino, ed alquanto decentrati dall’originario luogo urbano di incontro romano-antico di Cardo e Decumano originari per la nascita della città, si evidenziano in Italia i due eminenti casi di riferimento di Milano e di Torino, per la loro alternativa differenziazione di ubicazione – e distanziamento posizionale – del nuovo contesto ecclesiale dalla zona inizialmente centrale dell’urbe, divenuta poi con il Medioevo di scarsa importanza dominante, ed in sèguito perfino fisicamente scomparsa nel tracciato topografico metropolitano successivo con la scomposizione plani-volumetrica sopraggiunta in epoca romanico-gotica.
Milano
Alla iniziale area imperiale romana (stabilita dal sistema ortogonale cardo-decumanico, sul cui principale incrocio insisteva l’antico Foro) , poi sostituita dalla nuova zona di centralità decentrata costituita dal contiguo sito della pertinenza ecclesiastica (futura Piazza della Basilica del Duomo), il capoluogo lombardo si configura nel contesto più spostato, nelle vicinanze, del potere politico-amministrativo comunale del Broletto (edificato nella attuale Piazza Cordusio) e del Palazzo Ducale situato accanto alla zona ecclesial-vescovile della futura Piazza della Cattedrale, occupata dalle basiliche paleocristiane Vecchia (313/314-320 voluta dall’Imperatore di Roma cristianizzato Costantino il Grande, e ricomposta tra l’822 e l’836 per poi venire demolita dal 1386 con la costruzione del primo nuovo Duomo cittadino) e Maggiore (di Santa Tecla, del 350-361, anche essa abbattuta nel 1548 per il medesimo intento di ingrandimento della nuova cattedrale) [Figure 71, e 72]
Figure 71 e 72 – Moreno Mac,, 2018 (fCG 2025). Nella mappa intera è mostrata la configurazione della antica Milano romana nel periodo di sviluppo tra gli imperatori Settimio Severo e Flavio Romolo detto Romolo Augustolo [sopra] e nel suo particolare della zona del Foro con l’area della futura Piazza del Duomo comprendente le originarie basiliche Maggiore e Vecchia [sotto]
Figura 72
All’epoca, dunque, di transizione tra il I ed i IV secolo dopo Cristo, avvenne che dopo l’Editto di Costantino (il famoso imperatore romano divenuto devoto alla nuova fede in Cristo) emanato nel 313 (con il quale il Cristianesimo viene riconosciuto quale religione permessa: “religio licita”) proprio a Milano che era allora capitale dell’Impero, nella area delle attuali Piazza Duomo e sito di elevazione della chiesa milanese principale sorsero le sopra citate basiliche cosiddette gemelle (sebbene alquanto differenti di forma e dimensione, ma chiamate così perché posizionate una dopo l’altra e non in un solo edificio unico come di consueto) di Santa Tecla e Santa Maria Maggiore (e la prima proprio occupante, di traverso, il futuro piazzale dominicale) [Figura 73].
Figura 73
Figure 73 e 74 – Ricostruzioni della situazione degli edifici di dominio politico-ecclesiale di Milano eseguite nel 2020 dallo storico milanese Luciano Aleotti: nel periodo trecentesco (Topografia fine 1300), comprendente Broletto, Palazzo Ducale, Chiese ed Arcivescovado [sopra] e nella sua fase primo-ottocentesca (Topografia inizio Ottocento) con il Coperto dei Figini (la lunga stecca edilizia nella mappa) [sotto], precedente i grandi lavori di compimento successivi (e di configurazione attuale: si veda la Figura 75)
Figura 74
Ma non solamente, poiché in questa nuova situazione di importanza civica acquisita dal vescovo milanese, e patrono cittadino, Ambrogio tra il 374 ed il 397 (continuato dai suoi successori), si affermava un alternativo potere urbano, quello vesvovile, e del suo corrispondente insieme di edifici del cosiddetto Complesso Episcopale (l’Arcivescovado di oggi con le sue dipendenze) che – come ha precisato nel 2017 lo storico milanese Luciano Aleotti su ‘Geostoria di Milano’ – “si affiancava al Foro come nuovo centro cittadino”, di opposizione alla precedente situazione pagana di Roma antica [Figura 74].
Ma per quanto fosse non più, comunque, l’apparato vescovil-eccclesiastico l’unico luogo centrale di potere, perché sempre accostato al dominio ducale, ed a quello comunale in una situazione venutasi a stabilizzare nel Trecento, il suo contesto restò tuttavia l’area privilegiata e prevalente della città, quale istituzione pubblica definitivamente destinata alla prossima superiorità con la costruzione del Duomo quale spazio cittadino ed edificio di volumetria monumentale, oltrepassante con possente ed elevata evidenza ogni altra costruzione urbana.
Un luogo di dominio zonale che tuttavia sarà completamente liberato, e più ampiamente aperto, con elaborata procedura costruttivo-urbanistica, soltanto nel 1865-67, quando nel piazzale della Cattedrale viene abbattuto il medievale edificio ingombrante del Coperto dei Figini, durante i lavori di demolizione delle vecchie adiacenze abitative fatiscenti e di scomoda presenza, per la realizzazione della Galleria Vittorio Emanuele II, che finirono dieci anni dopo, nel 1876/77 [Figura 75].
Figura 75 – Il confronto (elaborato da grafico ignoto dei Beni Culturali della Regione Lombardia) tra la Pianta della città di Milano disegnata dal Tenente Ingegnere Geografo Giovanni Brenna nel 1860 (a sinistra nella immagine) e la Pianta della Città di Milano pubblicata per deliberazione della Giunta di Milano nel 1876 (a destra: ma nella versione della sua quarta edizione stampata dall’editore milanese Antonio Vallardi nel 1884) che rileva gli importanti cambiamenti urbani ottocenteschi nella Piazza del Duomo: la eliminazione del Coperto dei Figini (la stecca edilizia orizzontale nel piazzale in alto) con la parte sottostante dell’Isolato del Rebecchino insieme al quartiere superiore sostituito dalla costruzione innovativa della Galleria Vittorio Emanuele II e dei palazzi dei Portici Settentrionali e Meridionali; opere con cui si è determinato il nuovo assetto dell’area della Cattedrale nella sua regolarità geometrica come ancòra la si percepisce adesso, nonostante le leggere trasformazioni ultimamente attuate (si veda la Figura 76)
Un decisivo spazio geometricamente regolarizzato, questo, che determinerà la forma attuale della piazza religiosa milanese, decisamente delimitata e vuota davanti alla chiesa, con cui il tempio è così divenuto istitutivamente, ed anche percettivamente, ancòra più imponente e dominante (e tutto sommato centrale) [Figura 76].
Figura 76 – La odierna situazione della Piazza del Duomo a Milano, con i filari di alberi piantati nella sua antistante parte occidentale (nella foto di autore anonimo, senza data), realizzata nel 2017 su progetto dell’architetto milanese Marco Bay delll’anno prima [sopra]
Torino
Ma per una più esplicita devianza ripartita dei luoghi (e monumenti) principali della città separatamente eminenti come è accaduto per Milano a cominciare dall’epoca romana antica, anche la evoluzione storica della città di Torino può fornire un ulteriore esempio, perfino maggiormente complesso (e completo) di assetto pluri-centralistico indipendente manifestatosi in una tipica disposizione disgiunta e di reciproca indifferenza tra gli edifici medievali del Castello e della Chiesa (e collateralmente anche del Palazzo Comunale: questo però totalmente escluso da una effettiva competizione di dominio urbano a causa della sua ubicazione immersa nel tessuto storico cittadino, priva di particolare emergenza architettonico-spaziale significativa, per quanto localizzata nel luogo storico principale di incrocio tra Cardo e Decumano massimi) [Figura 77 (e 78)].
Tutti edifici che si discostano in una isolante trascuratezza contestuale reciproca, e prioritariamente di autorità soltanto propria, stabilente divise entità di loro autonomo
Figura 77
Figure 77 – Alfredo D’Andrade, Pianta della Città Romana, 1889
Tutti edifici che si discostano in una isolante trascuratezza contestuale reciproca, e prioritariamente di autorità soltanto propria, stabilente divise entità di loro autonomoe mai interferente posizionamento (pure nella forte presenza, spesso di condizionante determinazione per l’assetto morfologico della città anche odierna, del rigido disegno urbanistico più antico, e originario, della persistente griglia di epoca vetero-romano).
E’ con le ricerche storiche e gli scavi archeologici condotti dall’architetto torinese Alfredo D’Andrade alla fine dell’Ottocento che la ricostruzione del tracciato romano-antico della Augusta dei Taurini riappare nella sua precisa caratteristica formale di impianto ordinatamente squadrato denotato dalle diritte strade incrociantisi ortogonalmente [Figura 77]; e nel cui tessuto così rigidamente ripartito i luoghi del potere ducale, regio,
ecclesiastico, e comunale, si ritagliano un proprio appezzamento isolante ma anche di connessione ad incastro (con il Palazzo Reale fungente da congiunzione spazial-architettonica nella zona della Chiesa di San Giovanni, e l’edificio del Castello), in un insieme comunque – ripeto – tra loro indifferente perchè molto individualistico, per ambientamento ed edilizia [Figura 78] …
Figura 78
Figura 78 – I 3 luoghi principali della priorità dominante urbana nello stralcio della mappa dei Rilievi della Regia Sovrintendenza dell’Antichità torinese (Torino Romana, senza data; fCG 2025): il Castello (in basso a destra), il Duomo (in alto a destra) e il Palazzo di Città (a sinistra) [sopra]
… che non riesce comunque a scalfire la predominanza (spaziale e architettonica) del massiccio e pluri-turrito maniero castellaneo degli Acaja, costruito nel 1356-67, con la sua enorme piazza circondante, estesa oltre il fronte urbano dell’edificio [Figure 79 e 80].
Figure 79 e 80 – La maestosità monumentale della fortezza degli Acaja (costruita nel suo tipico aspetto turrito nel 1356-67 dal Duca di Savoia-Acaja Ludovico), con il grande spazio circostante che lo esalta volumetricamente nella propria qualità di architettura dominate (Carlo Bossoli, Piazza Castello a Torino, 1852: fCG 2025) [sopra] anche nell’intero contesto di sviluppo storico cittadino (Incisore Ignoto su disegno di Giovanni Tommaso Borgonio, Prospetto della Augusta dei Taurini, 1674) [sotto]. Entrambe fCG 2025
Nelle loro specificità pertanto, gli spazi torinesi della autorità ecclesiale del Duomo e del potere civile del Palazzo di Città (attuale Municipio) risaltano – anche loro separatamente – soltanto nel proprio sito specifico, sebbene con progetti dai loro costruttori realizzzati in una magnificenza visiva tipica della urbanistica torinese e della grandosità ducale (con interventi anche importanti, ma comunque sempre limitati – ripeto – alla loro isolata esistenza spazial-architettonica [Figure 81 e 82].
Figure 81 e 82 – Gli altri due, separarti e distanti, centri di prevalenza urbana torinesi: il Duomo di San Giovanni Battista (di fotografo Anonimo di AtlasFor, senza data), Chiesa Cattedrale costruita dal 1491 al 1505 su progetto dell’architetto toscano Amedeo De Francisco da Settignano, più conosciuto come Meo del Caprino (che costituì una novità edilizia, perché venne realizzata in uno stile nuovo, non più gotico come per i precedenti edifici religiosi, bensì nella quattrocentesca maniera lineare e classicheggiante del primo Rinascimento) [sopra] e l’Edificio Civico (in una immagine d’epoca di Mario Gabinio, Palazzo di Città, 1925) [sotto] ritpreso nel suo aspetto ultimo (risistemato con varie modifiche tra Sette- e Otto-cento dagli architetti sabaudi Francesco Valeriano Dellala di Beinasco, Luigi Barberis, e Filippo pcostruito nel 1659-63/65 su disegni dell’architetto Francesco Lanfranchi. La sua piazza storica ricevette il proprio aspetto odierno nel 1755-1758 quando, per ordine del re Carlo Emanuele III, l’architetto Benedetto Alfieri consegnò i disegni per la nuova sistemazione urbana
Ed il Castello di Torino dunque, resta sempre la costruzione predominante nel profilo fisico degli edifici urbani (in pratica fino a metà-Ottocento, allorchè la geniale ed estroversa mente di Alessandro Antonelli non decide di introdurre la sua svettante Mole bizzarra ed azzardata, per contrastare la piatta orizzontalità dei tetti cittadini) nella sua prestanza edilizia; ma anche per il proprio collocamento al centro di un grande piazzale, che lo libera dagli intasamenti cui sono costrette le altre costruzioni urbane, e lo rende una presenza di particolare elevazione, benchè stereometricamente masssiccia, del tutto isolata.
Centralismo in dissolvimento
La maestosa Cattedrale di Strasburgo in Francia (dedicata – come quasi tutte queste gotiche chiese ovunque in nuova costruzione sul territorio francese tra il 1135 ed il 1286 – a Nostra Signora la Vergine Maria) nella sua potente conformazione gotica (eseguita dal 1190 al 1439 ad opera soprattutto dell’architetto alsaziano Erwin Von Steinbach dal 1277 e dai suoi successori, il figlio Johannes e il nipote Gerlach), è in pratica un perfetto esempio di centralità templare ancòra attuale in riferimento globale allo sviluppo urbano della propria città, anche nella odierna situazione di caotico ingrandimento in dissoluzione metropolitana [Figura 83].
Figura 83 –Fotografo Anonimo di Wikipedia, Veduta Aerea della Cattedrale di Strasburgo, 2015. Perentoria attestazione, quella del Duomo strasburghese in Francia dedicato a Nostra Signora, di solitario elemento ecclesiale di dominio unico e totale su tutto il tessuto urbano, per la sua grande massa di architettura gotica e tardo-fiammeggiante
Una particolare situazione per lei accaduta a causa di una sua speciale prevalenza su altri edifici religiosi minori circostanti, entro la cerchia muraria antica romano-medievale [Figure 84 e 85], praticamente mantenuta artificialmente nei secoli fino a diventare, e risultare ancòra adesso, un caso del tutto eccezionale di dominanza urbana e volumetricamente anomalo nella odierna trasformazione delle città metropolitane.
Figure 84 e 85 – Il Duomo di Strasburgo nella chiusura muraria medievale di trasformazione tardo-romana dell’Argentoratum Castrum (ricostruzione della Ditta di produzione iconografica Accusoft di Tampa, diretta dallo statunitense Dan Lee, Tracciato del Castro, 1996-2001) [sopra], e nel dettaglio della Pianta della Città di Strasburgo del 1720 incisa dal calcografo (nonché geografo e cartografo, e stampatore) francese Gaspard Baillieul [sotto]. La particolare persistenza dominante della chiesa strasburghese dipende dalla sua crescita nel recinto antico di sua fondazione, tardo-romano [sopra], e della sua successiva trasformazione medievale non molto topograficamente distruttiva [sotto]. Entrambe fCG 2025
E quella sua emblematica figura di centralità evidente, che conferma platealmente il tradizionale concetto fisico di assoluto dominio monumental-urbano avvenuto in certi aspetti dello svolgimento storico e precipuamente medievale, nella realtà della società in trasformazione dall’Ottocento, e nel pensiero filosofico novecentesco soprattutto dopo il secondo dopoguerra mondiale, il centralismo autorevole e prevalente della cattedrale (di cui molti sono stati incorporati nelle successive più elevate e possenti costruzioni in altezza delle città moderne e contemporanee dagli svettanti grattacieli), ha riscontrato una diversa, e più dubitativa, certezza intrinseca: perché negli anni Sessanta del Novecento, il dibattito sulla perdita del centro era ampiamente sviluppato nelle condizioni di progettualità operativa di architetti e pianificatori (e degli intellettuali in genere), e coinvolgeva professionisti e insegnanti universitari (che a loro volta implicavano gli studenti: che, come me, dovevano immettersi in una situazione di desueta conoscenza, e altrettanto ostica comprensione rispetto alla abituale consuetudine di giovani allievi inesperti, da superare con la informazione e con lo studio, e la deduzione logica).
Su questo argomento è stato lo storico dell’arte tedesco Hans Sedlmayr (allora l’autore più rinomato del secolo nel suo settore disciplinare) che ne aveva esposto, nel proprio libro Verlust der Mitte (Perdita del Centro, appunto) uscito nel 1948, i caratteri di “crisi dell’uomo moderno” (e, sarebbe più esatto affermare, anche già contemporaneo) in una accezione dello sviluppo scomposto delle arti figurative ed astratte, ed in un significato di confusione rappresentativa, e comunicativa, che già il grande filosofo germanico Georg Wilhelm Friedrich Hegel aveva rilevato, nelle sue Lezioni di Estetica del 1823, con il concetto poi (dal critico dell’arte torinese/romano Giulio Carlo Argan soprattutto, e da altri suoi contemporanei) definito quale “morte dell’arte” (e della cultura storica dell’Umanesimo).
Per gli architetti, e per noi allievi, la interpretazione della perdita del centro era traslata verso l’aspetto della evoluzione della città in dissolvimento urbano, dispersiva e distruggente l’impianto tradizionale dei disegni di organizzazione urbanistica bene pianificati soprattuto negli esempi del Movimento Moderno, precipitati in un disorganizzato caos urbanistico ed edilizio, senza più controlli propositivi (e chiaramente risolutori).
Ed anche adesso, tale idea dissipante la centralità architettonico-urbanistica nel dissolvimento dello scompiglio metropolitano, il centro nel suo senso andato perduto dalla templarità nella propria gloriosa affermazione medievale e successiva, ritorna più pressante e insistente, nella esigenza di un nuovo ritrovamento concreto di concentrazione attuale (ripresa di identità micro-sociale).
E la Cattedrale di Strasburgo, nuovamente, come tutte le sue consimili vecchie cattedrali del resto, a dispetto di ogni evoluzione epocale, mantenendo quel suo tipico ma eccezionale e tutto sommato davvero esclusivo, e solitario, dominio sui bassissimi tetti storici della città, emergendo miracolosamente solenne e grandiosa dal minuto tessuto urbano come nel passato Medioevo, e dichiarante perentoriamente la trionfante (im)posizione primaria della Chiesa su tutto quanto le sta attorno (quale nostalgica affermazione di un unico luogo, e costruzione, cui rimandarsi), ha finito di reggere il suo primato al confronto direttto con la condizione odierna della sua metropoli ingrandita, in una maniera di dubbia precarietà sulla sua effettiva dominanza nello sviluppo urbano, racchiusa in una artificiosa ipostaticità non più attiva, ma solamente di morfologica scenografia vedutistica.
Che non può sostenere più la incrollabile convinzione secondo cui l’elemento centrale di crescita della città sia stato, sempre, il Tempio (o la Chiesa), in questa concezione della cultura occidentale, richiamante una idea radicata che tuttavia la indagine della sua storia perentoriamente nega; perché il centralismo ecclesiale riguarda soltanto una situazione particolare di epocalità sostanzialmente medievale, che comunque è ormai da tempo svanita dappertutto (per le discusse condizioni che ho finora esposte). E le cui conseguenze si possono già emblematicamente riscontrare – considerato che ho accennato alla morte dell’arte, e similmente della architettura/urbanistica – nella fantastica serie impressionistica della facciata sgretolante e dissolvente della Cattedrale di Rouen dipinta dal grande pittore francese Claude Monet tra il 1892 ed il 1894 (una trentina di tele), in varie situazioni di illuminazione diurna generata dal sole sui rilievi lapidei della chiesa in discioglimento e scomparsa evanescente [Figure 86 e 87].
Figura 86
Figura 87
Figure 86 e 87 – La profetica anticipazione della ‘morte dell’arte’ (dissolvimento atmosferico della figura naturale) nei lavori impressionistici del pittore francese Claude Monet: particolarmente nel ciclo di dipinti del 1892-94 riguardanti la Facciata della Cattedrale di Rouen (l’esemplare in figura eseguito nel 1892) [sopra a destra] mostranti il tipico discioglimento materiale delle reale corporeità dell’edificio (Fotografo Sconosciuto, Cattedrale di Rouen, 1881) [sopra a sinistra]
Espressioni di visioni estremistiche, queste, che riportano però al diffuso messaggio di decadenza e scomparsa del modo di dipingere tradizionale che allora avveniva nelle arti, e si diffondeva nella cultura in genere (perdita del senso figurativo), per le quali ormai il luogo di culto (di ogni religione, e non solamente riguardante la fede cattolica) può rimanere una entità assoluta e importante ma non unicamente di dominio, ritrovandosi relegata ad una rilevanza relativa e persa, nella immersione ignota dello sviluppo metropolitano più confuso.
Uno stato di fatto che oggi ha poche potenzialità di riscatto, ma che può ritrovare una propria ripresa con progetti mirati verso apposite risoluzioni, soprattutto – al contrario della espansione macro-urbana – localistiche o zonali.
CentraliTà localistica, e Centralismo decentralizzato
La municipalità parigina, ad esempio, da poco (dopo cioè la disastrosa distruzione del tetto, con la sua guglia storica, della Cattedrale di Nostra Signora) ha voluto provare – tramite il Progetto Parigi 2025 elaborato dall’architetto francese Bas Smets, previsto concluso nel 2018 – un ricupero spaziale del proprio terreno davanti alla facciata di Notre Dame, appositamente ricomposto in un grande rettangolo libero ma attrezzato per il pubblico, e convertito così in una piazza di frequentazione per tutti (fedeli e cittadini) [Figura 88].
Figura 88 – Bas Smets, Progetto Parigi 2025, 2023-24 (fCG 2025). Illustrazione tridimensionale del riassetto spaziale dello spazio antistante alla Chiesa di Nostra Signora (previsto concluso nel 2028) definito dall’architetto francese, e appositamente ricomposto in un grande rettangolo libero ma attrezzato per il pubblico, e convertito così in una grande piazza di frequentazione per tutti (fedeli e cittadini)
Sicuramente una grande area sempre di appartenenza urbana, come proviene dalla sua secolare tradizione ecclesiale e monumentalistica, ma soprattutto di frequentazione locale per la gente del quartiere, che la può pertanto usare quale nuovo luogo collettivo di sosta e ritrovo, e disponibile incontro.
E dunque da tale esempio, ma ridotto ad una dimensione specifica di contesto delimitato, un altro (alternativo?) modo per cercare un più vasto riscatto della perdita di centralità delle vecchie chiese cittadine, è rinvenibile in piccoli interventi propositivi simili ma nelle periferie e nei quartieri appunto decentrati.
Per dare loro quel centralismo globale perduto e non più riproponibile nelle città antiche, e ricercabile invece in una concentrazione – anche in tale circostanza – localistica, e però di spazialità (e partecipazione) collettiva e non soltanto a funzione ecclesiale (adeguatamente ai molteplici mutamenti sociali, religiosi e laici, della odierna civiltà e cultura in più dinamico svolgimento). Che raccolga quindi, intorno al tempio (e circostanziatamente – per la credenza cattolica di antica tradizione italiana – di riferimento alla Chiesa) le attività quartierali della comunità, e del proprio culto, sopperendo magari a quelle condizioni precarie e prevaricanti che disagiate condizioni di richiesta religiosa stanno ormai sollecitando, senza ancòra una opportuna, ed accettabile, soluzione.
Perché ormai nelle grandi aree urbane e dei paesi, con la crescente presenza di culti praticanti non cristiani, e particolarmente di religione musulmana, che giustamente chiedono alle autorità cittadine spazi ed edifici idonei alla loro modalità di fede (moschee) empre più provvisoriamente svolte in luoghi inadatti e impropri, anche a volte disperatamente sottratti agli insediamenti civili, urge la necessità di operare in una specificata organizzazione circostanziale: in cui, nella situazione templare, delle chiese cattoliche ma ultimamente anche in quella delle moschee, separatamente ogni confessione di fede possa trovarsi un proprio spazio di fruizione, e funzione, dove indipendentemente compiere i propri riti di culto con regolare attività, non più privilegiata per alcune confessioni, e per altre invece consegnata ad una clandestinità ingiusta, impropria e indecorosa [Figura 89].
Figura 89 – Fotografo Anonimo della Redazione di ‘Il Giornale’, Milano, Preghiera del Venerdì al Vigorelli, 2008 [sopra]. Una delle tante non lecite manifestazioni religiose musulmane attuate all’aperto e per strada, usate per protesta contro la mancanza di permessi costruttivi per realizzare idonee mosche rivolte ai culti religiosi della comunità islamica milanese
Riconquistando così nella centralità di quartiere quel decentramento localistico più agilmente gestibile e comunitariamente usabile che sta ormai creando la condizione odierna della realtà urbana e territoriale delle zone di culto.
Anche perché è sociologicamente ormai accertato che i gruppi residenziali contenuti e semplicemente organizzati sono di maggiore agilità gestionale, in quanto tutti i loro abitanti in pratica si conoscono e frequentano in varie maniere, insieme e per famiglie o tra amici di vicinato; diversamente dai dispersivi agglomerati periferici delle città evolute, che contengono anonimi edifici residenziali giganteschi sovra-affollati e di indecente fruizione, per la eccedente densità abitativa, e precarietà sociale, e la squallida composizione morfologico-volumetrica degli edifici, di una terrificante grandezza a-dimensionata: causa inevitabile di quel degrado urbano, e umano, della disperazione, come ormai purtroppo è riconoscibile in parecchi famigerati quartieri italiani – ma anche altrove nel mondo – nel cui sfacelo comanda l’inaccettabile abbandono [Figura 90].
Figura 90
Figura 90 – Stefania Sola, L’Insula 3E, 2005 [sopra]: è uno dei mostruosi agglomerati del Quartiere Zen (Zona di Espansione Nord)a Palermo, progettato dall’architetto milanese Vittorio Gregotti e costruito in varie fasi tra 1966-70 e 1969-1990: uno dei tanti esempi fallimentari delle esageratamente grandi esecuzioni di quartiere residenziale (15.000 abitanti) risoltosi in un luogo inagibile di degrado nella evoluta metropoli odierna in disfacimento
Un condizionamento assurdo che occorre invece risanare con interventi appositi, di aggregazione comunitaria tanto civile quanto religiosa a carattere localizzativamente zonale, e – nello specifico di questo argomento di centralismo decentrato religioso – con le chiese di quartiere e loro attrezzature di socializzazione combinate in una nuova centralità del contesto [Figure 91-92, e 93], …
Figura 91 – Corrado Gavinelli, Planimetria di Pinerolo con le nuove Chiese di Quartiere (segnate in azzurro), 2025 [sopra]. Sono gli edifici ecclesiali ealizzati soprattutto secondo le prescrizioni del Concilio Vaticano II (1962-65), che hanno costituito nuove sedi di culto di quartiere, perifericamente diffuse
92 e 93 – Un esempio di riplasmazione conciliare dei nuovi edifici quartierali di culto cattolico a Pinerolo (la Chiesa dello Spirito Santo – fCG 2025 – costruita nel 1972-74 e risistemata anche in una aggiornata versione esteriore nel 2013 dall’architetto Claudia Priolo con il geometra Mauro Bruno) [sopra] e di un loro utilizzo laico degli spazi per intrattenimento e sport (Fotografo Anonimo dell’Istituto San Leonardo Murialdo di Pinerolo, Raduno Animatori, 2014) [sotto]
… insieme ad opportuni Centri Sociali pubblici, di dipendenza municipale o di enti istituiti, non anarchicamente gestiti da organizzazioni private e non civiche, composte di un controllo comunale organico [Figura 94 (e 95)].
Figure 94 e 95 – Corrado Gavinelli, La Centralità Decentrata in Epoca Moderna e Contemporanea, 2025; ed Il Centralismo della Templarità Tradizionale nello Sviluppo della Città, 2025. Schema ipotetico della nuova riorganizzazione quartierale di una città secondo la distribuzione templare (chiese e oratori di culto cattolico, altre sedi religiose, Centri Sociali municipali), in cui ogni area di aggregazione popolazionale diventi luogo eminente di concentrazione comunitaria [sopra], in opposizione alla vecchia Centralità storica dei templi medieval-moderni (e contemporenei) [sotto]
In attesa, magari, per un diverso cambiamento di rilevanza templare più globale e concentrato, di quella alternativa concezione ecumenica – neo-utopica, perché di difficile attuazione pratica espressamente concretizzabile, ma tuttavia di possibile proposizione per un ipotetico futuro – ideata nel 1963 dall’architetto fiorentino Leonardo Ricci per una Ecclesia aperta a tutti, appartenenti ad ogni religione ed anche ai laici; entro i cui spazi – dal progettista pensati come cavernicoli antri di plurima utenza, separati però a seconda dei culti – ciascuna fede possa trovare isolatamente e pacificamente il proprio luogo di devozione e di pratica comunitaria (funzioni religiose, assemblee, riunioni, attività collettive, meditazione personale) [Figura 96].
Figura 96 – Leonardo Ricci, Disegno con Planimetria e corrispondente Prospetto della Ecclesia per il Villaggio sul Monte degli Ulivi a Riesi, 1963 (fCG 2000) [sopra]. E’ la proposta ecumenica di un tempio per tutti e per ogni religione, che possa concedere ad ogni utente (religioso o laico) la spazialità per la propria professione di fede e di espressione spirituale o soggettiva, separatamente o in àmbiti comuni. Il progetto è stato preparato (ma mai costruito) per la Chiesa Valdese (Protestante) riesina in Sicilia, un contenuto insediamento artigianal-abitativo di Servizio Cristiano riformato, eventualmente estendibile, nel suo concetto ideale, ad ogni luogo di voluta localizzazione (come nuovo centro templare di diffusione di contesti abitati)
Un progetto di concezione ecumenica disegnato per il nuovo Villaggio Monte degli Ulivi nel paese di Riesi in Sicilia, per la locale comunità valdese di appartenenza protestante; ma la cui idea di ecclesialità aperta comunque può ritenersi universale, ed applicabile quindi a qualunque altro posto nel mondo, per una comunitaria partecipazione voluta.
Conclusione: Centri di Decentrazione ecclesial-civile
Per finire quibdi, indipendentemente comunque da qualsiasi progetto da proporre o già convenzionalmente stabilito, la entità di una nuova centralità nel decentramento per la preminenza templar-ecclesiale è ìnsita nella nuova condizione innovativa delle odierne costruzioni pubbliche per i cittadini, con edifici (e spazi connessi) specifici, localizzati in concentrati (opportunamente dimensionati) nuclei urbani di unità abitativa (quartieri) con lo scopo di ricreare un futuro realisticamente di dominio territoriale zonale, limitato e demograficamente contenuto: gestito dalla gente del luogo per le loro necessità religiose (perciò chiese per i fedeli) ma anche con autonomi locali di socializzazione (i vecchi Ricreatori, ad esempio, di rinnovata attività distensiva e sportiva) debitamente combinati con autentici Centri Sociali di gestione comunale per un effettivo servizio pubblico (e non istituzioni ambigue lasciate ad una deleteria conduzione anarchica ed eversiva, come ormai accade dappertutto in Italia), indipendenti da altre imposizioni di eventi esterni e di autorità superiori [Figure 95 e 94)].
Entro una condizione di attuale dualità di poteri, religioso e civico, che nelle loro individualità tipiche e specifiche possano condurre le proprie non squilibrate e conflittuali attività, in quel bipolarismo di condizione di culto e situazione social-civile ormai stabilizzatasi da tempo nella nostra storia moderna e contemporanea: che va però doverosamente messa in pratica, coraggiosamente applicata, ed onestamente condotta.
Corrado Gavinelli
Torre Pellice, Dicembre 2024 e Gennaio-Marzo/Aprile-Maggio 2025
Corrado Gavinelli mostrante gli schemi grafici delle due centralità del tempio e degli edifici del potere civico in epoca medievale (a destra) e nella situazione odierna (a sinistra); nella quale ultima è illustrato il centralismo dei luoghi pubblici dominanti nel decentramento quartierale dello sviluppo urbano (foto di Mirella Loik del 2025)
BIOGRAFIA DELL’AUTORE – Corrado Gavinelli, nato nel 1943 a Gattinara, in provincia di Vercelli, è architetto, laureato nel 1970 (con Aldo Rossi quale relatore di tesi) alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano (Italia): dove è stato Assistente Incaricato di Storia e Stili dell’Architettura (di cui era titolare il Professore Paolo Portoghesi) dal 1970 al 1975, diventando quindi (dallo stesso 1975) Professore di Storia della Architettura.
Divenuto poi Professore Associato nel 1984, dall’anno successivo (1985) ha ricevuto anche l’incarico di Supplenza per il Corso sperimentale di Storia dell’Architettura Contemporanea, di cui è diventato titolare dal 1998 al 2009 (quando si è ritirato in pensione).
Sempre alla Facoltà di Architettura, è stato anche, per il Dipartimento di Storia e Resatauro, Direttore del Laboratorio Sperimentale di Modellazione Storica (LabSpeModSto), dal 1985 al 2009.
E’ anche, nel 1996, Professore Temporaneo alla Facoltà di Arte e Progettazione dell’Università di Tsukuba in Giappone, diventandone poi, dal 2000 al 2010, Professore Straniero (Gaikokujin Kyoshi) di Storia della Architettura all’Università di Tsukuba (Giappone), e altrettanto, dal 2005 al 20010, nella nipponica Scuola delle Arti di Sapporo.
E’ stato inoltre, dal 1975 al 1989, Professore di Storia della Comunicazione Visiva all’ISIA (Istituto Superiore per le Industrie Artistiche) di Urbino (Italia), e nel 1997 Lettore al CERN di Ginevra (Svizzera).
E quindi – in vari periodi non continuativi dal 1980 al 1989 – ha tenuto seminari didattici nella sede del CNIPA (Centro Nazionale di Istruzione Professionale Artigiana, divenuto nel 1978 Scuola Sperimentale di Design) di Ancona, e dal 1999 al 2001 ha condotto il Corso di Storia del Design al COSMOB (Consorzio del Mobile) di Pesaro.
Nel 1985 è stato insignito, alla Biennale di Architettura di Sofia (Bulgaria), della medaglia onorifica della UIA (Unione Internazionale di Architettura) per il suo lavoro storico-critico.
Oltre ai contributi in numerose riviste specializzate di Architettura, Arte, e Design – tra cui ArteLavoro e ArteContro (dirette da Mario De Micheli) delle quali è stato anche Redattore), Casabella, Controspazio, Modo, Ottagono, Domus, Lineagrafica, LIPE, Recuperare, Design, L’Umana Avventura, Chiesa Oggi (di cui è membro del Comitato Scientifico), L’Arca, OFX, Geijutsukenkiyuhou-sakuhinsyu e Jeijutsukenkiyuhou (periodici universitari giapponesi), OFarch, e Frontiere (rivista telematica della quale è autore ancòra attivo), ha pubblicato parecchi libri: tra i quali, più di recente, e per la Jaca Book di Milano, Architettura Contemporanea. Dal 1943 agli Anni Novanta (1995, tradotto in spagnolo per Libsa di Madrid nel 1999), L’Architettura del XX Secolo (1993), Paolo Soleri. Itinerario di Architettura. Antologia dagli Scritti (2003), Ar-chi-tec-tu-ra (2009), e Luoghi della Pace. Arte e Architettura dopo Hiroshima (2010). Per la stessa Casa Editrice è anche Direttore della Collana Architetti Contemporanei.
Ha scritto inoltre altri importanti testi, tra i quali Renato Guttuso per Capitol di Bologna (1974), Novara e Antonelli per Psicon di Firenze (1975), Textures per Zanichelli di Bologna (1976), Città e Territorio in Cina per Laterza di Bari (1976, tradotto in spagnolo per Blume di Madrid nel 1979), Il Centro Storico di Oleggio per Mora-Grafica di Novara (1977), De Stijl 1917-1931 per Caracas di Jesi (1982), Design: né arte né industria per Edizioni Kappa di Roma (1982), Progettare & Costruire per Ghiorzo di Milano (1984/85), Le Corbusier per Mazzotta di Milano (1986), Alessandro Antonelli nel suo territorio per Comune di Maggiora (1988), Il Santuario del Crocefisso e l’Opera Antonelliana a Boca per Del Forno di Maggiora (1988), Sant’Elia Ri-costruito per Scuola Arti Grafiche di Como (1989), Ai Piedi dei Grattacieli per Meeting di Rimini (1992), Storie di modelli esibitivi e critici per Alinea di Firenze (1993), Archaeology of the Future City per Shimbun di Tokyo (1996, in giapponese), , 581 Architects in the World per Toto di Tokyo (1995, in giapponese), Milano. Professional Guide per Kikukawa di Tokyo (1998, in giapponese), Die Neue Moderne. Architektur in der zweiten Hälfte des 20. Jahrhunderts per Kolhammer di Stoccarda (1998), L’architettura di Leonardo Ricci – Agape e Riesi per Claudiana di Torino (2001), Il Villaggio di Monte degli Ulivi a Riesi di Leonardo Ricci per Priulla di Palermo (2001).
Ha organizzato e allestito parecchie mostre inerenti alle proprie discipline di interesse, tra cui ‘Novara e Antonelli’, ‘Il Centro Storico di Oleggio’, ‘Gropius’, ‘De Stijl’, ‘Il Manifesto Cinese’, ‘La Carta Ritagliata’ (tradizionale artigianato manuale cinese), ‘Le Corbusier’, ‘Tendenze Attuali nel Design’, ‘Il Santuario antonelliano a Boca’, ‘Sant’Elia ri-costruito’, ‘Modelli di Architettura’, ‘Ai Piedi dei Grattacieli’, ‘L’Eufrate e il Tempo’, ‘Archaeology of the Future City’ (in Giappone), ‘Il Bene e il Bello’ (storia e attualità dei sistemi ospedalieri), ‘Cantico 2000’ (rassegna di arti contemporanee a tema), ‘Pietro e Paolo’ (architetture delle origini cristiane a Roma), ‘Spazio Ritrovato’ (ricostruzioni al Cad di architetture soltanto progettate), ‘L’Architetto Kiyoshi Seike’ (in Giappone), ‘Bramante e la sua Cerchia’); e ha tenuto diverse conferenze in Italia e all’estero.
Attualmente in pensione (dal 2009), prosegue nella sua attività di Storico della Architettura, del Design, di Arte ed Estetica, e particolarmente nella disciplina della Iconologia (identità e riconoscibilità, e significati, delle immagini); scrivendo sempre su periodici, e riviste telematiche specializzate (tra cui soprattutto ‘Frontiere’).
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