Di Corrado Gavinellli

MUSEO IN QUARANTENA (CON MASCHERINE)

Sesto Atto contro il Virus Corona (nella fase di secondo ritorno della pandemia)

Nel momento del nuovo riscontro di un ritorno pandemico preoccupante, ho voluto accogliere e condividere, esponendola e commentandola, la bella iniziativa (sebbene di espressione nota, in quanto da altri già similmente, e variamente, proposta e pubblicata) del Museo Fitzwilliam della Università di Cambridge in Inghilterra, che ha stampato una serie ridotta di Cartoline raffiguranti alcuni dipinti della propria collezione con i suoi personaggi ricoperti dalla ormai nota, ed immancabile, Mascherina Anti-Covid [Figura 1].

Questa operazione diffusiva della istituzione fitxwilliamina però si presenta più importante di altre diversamente diffuse, perché provenie da un ente pubblico internazionalmente conosciuto, ed è stata realizzata non soltanto per partecipare alla attestazione – attraverso l’arte – della preoccupazione globale verso il morbo che continuamente ci tormenta e rincorre, ma anche per segnalare l’evento contingente della chiusura delle sue sale espositive, in quarantena (il Museo “ha temporaneamente chiuso i battenti al pubblico a Marzo” a causa del Covid) e superandolo con un sostitutivo, benchè parziale – espediente telematico: offrendo così un altro “assortimento” di immagini virtuali, esemplarmente campionate, da percepire anche nel momentaneo impedimento di non poterle più fisicamente osservare dal vero (“Venite a Sfogliare il Nuovo Repertorio”).

La selezionata gamma delle 8 opere rappresentative scelte dai responsabili museali sono epocalmente disparate e – per quanto importanti – prese quasi a caso: si tratta, in ordine cronologico, della Venere e Cupido con un Suonatore di Liuto (1567-68) di Tiziano Vecellio; della Rachel De Ruvigny, Contessa di Southampton, raffigurata come Fortuna (1637-38) di Anthony Van Dick; del Ritratto di un Uomo in Abiti Militari (1650) di Rembrandt Van Rijn; di John Douglas, Duca di Queensbury (1662-63) di Carl Boit; Le Figlie del Baronetto Matthew Decker (1718) di Jan Van Meyer; La Damigella della Sposa (1851) di John Everett Millais; La Lettrice (1859-60) di Alfred Stevens; e Le Gemelle Grace e Kate Hoare (1876) sempre di Millais [Figure 2-9].

Figura 2 – “La Venere e Amore con un Suonatore di Liuto del Tiziano ha preso uno sfoggio moderno”
Figura 3 – Anthony Van Dick, Rachel De Ruvigny, Contessa di Southampton,raffigurata come Dea Fortuna, 1637-38
Figura 4 – Rembrandt Van Rijn, Ritratto di Uomo in Abiti Militari, 1650
Figura 5 – Carl Boit, John Douglas, Duca di Queensbury, 1662-63
Figura 6 – “Nel ritratto di Jan Van Meyer con le Figlie del Baronetto Matthew Decker, le ragazze giocano in sicurezza e si accertano che anche la loro bambolina segua misure di distanziamento sociale”
Figura 7 – “La damigella d’onore di John Everett Millais indossa una delicata maschera floreale da abbinare al suo abito di seta”
Figura 8 – La Lettrice di Alfred Stevens, del 1859-60, prima e dopo la assunzione della Mascherina

Ad alcuna di queste opere è stato poi dato, nel presentare l’iniziativa, un commento didascalico di tipico humour inglese: “La Venere e Amore di Tiziano con un Suonatore di Liuto ha preso uno sfoggio moderno” [Figura 2], “Nel ritratto di Jan Van Meyer delle Figlie del Baronetto Matthew Decker, le ragazze giocano in sicurezza e si accertano che anche la loro bambolina segua misure di distanziamento sociale” [Figura 6], “La damigella d’onore di John Everett Millais indossa una delicata maschera floreale da abbinare al suo abito di seta” [Figura 7], e – dello stesso autore – le “gemelle, Kate e Grace Hoare, si agghindano per una uscita con il loro fedele segugio” [Figura 9].

Figura 9 – “Le gemelle Kate e Grace Hoare, si agghindano per una uscita con il loro
fedele segugio”

E come consiste nelle intenzioni del nostro Concorso, di riferirsi ad una ripresa vitale sotto forma artistica, anche il museo cambridgeano con tale sua proposta – dichiaratamente – ha ritenuto opportuno ricorrere alla sua “serie grafica dal carattere simpatico” perché essa “offre una prospettiva giocosa alle nostre vite attuali attraverso l’arte che conosciamo e amiamo”.

Una esperienza, come ho accennato sopra, da altri pensata, ed attuata in modo personale e diversamente motivato; di cui le immagini silenti (senza didascalie) ma significative per il loro impatto figurativo ed il breve commento di riferimento, che riporto (pubblicate già dal Marzo scorso dalla editrice telematica spagnola Nacho Viñau Ena – ma riprese da un coevo lavoro del connazionale Studio POA di Architettura e Grafica con sede a Córdoba – esortante alla maggiore precauzione di ciascuno verso la pandemia: “Restate a casa: anche l’arte indossa guanti e maschere”) conducono alla stessa sostanza di ogni altro progetto simile. Perché “fermare la diffusione del COVID 19 è responsabilità di tutti”: per la gente in genere ( come si vede è ripresa nel dipinto Las Meninas – Le Ragazze – di Diego Velazquez del 1656) [Figura 10]

Figura 10 – Studio POA di Architettura e Grafica: da Diego Velazquez, Las Meninas (Le Ragazze), 1656

per gli operatori sanitari (da Rembrandt Van Rijn, La Lezione di Anatomia del Dottor Tulp, 1632) [Figura 11].

Figura 11 – Studio POA di Architettura e Grafica: da Rembrandt Van Rijn, La Lezione di Anatomia del Dottor Tulp, 1632

e per i singoli individui (da Leonardo Da Vinci, La Gioconda, 1503-0416) [Figura 12];

Figura 12 – Studio POA di Architettura e Grafica: da Leonardo Da Vinci, La
Gioconda, 1503-04/16

con le loro ansie (Jan Vermeer, Ragazza con Turbante – o con l’Orecchino – 1665-66) [Figura 13],

Figura 13 – Studio POA di Architettura e Grafica: da Jan Vermeer, Ragazza con
Turbante (o con l’Orecchino), 1665-66

preoccupazioni (Bartolomé Esteban Murillo, Donne alla Finestra, 1670) [Figura 14],

Figura 14 – Studio POA di Architettura e Grafica: da Bartolomé Esteban Murillo,
Donne alla Finestra, 1670

e disperazioni (Edvard Munch, L’Urlo, 1895) [Figura 15].

Figura 15 – Studio POA di Architettura e Grafica: da Edvard Munch, L’Urlo, 1895

Infine, per fornire un minima informazione doverosa sul Museo della Università di Cambridge, ne riporto poche minimali indicazioni: questa istituzione risale al 1816, quando il musicologo irlandese Robert FitzWilliam (in questo modo veniva scritto allora il suo cognome), Settimo Visconte di Meyron, parlamentare inglese e collezionista d’arte [Figure 16 e 17], l’ha deliberata alla sua morte, con un lascito testamentario per la città in cui egli svolse (nella Scuola della Trinità: da non confondere con l’omonimo Collegio) i propri studi superiori.

Figura 16 – Richard Earlom (mezzotinta da un dipinto di Henry Howard), Richard, 7° Visconte FitzWilliam, 1810
Figura 17 – Corrado Gavinelli, Richard Fitzwilliam anche egli con la Mascherina
anti-Covid, 2020

In mancanza di una sede specifica, e adatta, per accogliere le opere donate e per esporle al pubblico, i responsabili della Università ricuperarono uno spazio provvisorio nel salone della Biblioteca all’interno dell’edificio della Collezione della Società degli Strumenti Tecnici di Cambridge (poi diventato, nel 1944, Museo Whipple di Storia della Scienza) [Figura 18].

Figura 18 – La originaria Collezione Fitwilliam in una stampa ottocentesca del 1887 (di autore ignoto), come si ritrovava ospitata nel Salone di Lettura dell’allora sede della Collezione della Società degli Strumenti Tecnici di Cambridge (adesso diventato, dal 1944, Museo Whipple di Storia della Scienza

Cinque anni dopo, nel 1821, un più permanente luogo venne procurato entro il Collegio Peterhouse [Figura 19], dove la collezione rimase fino al 1848, allorchè un esplicito palazzo museale venne realizzato (dall’architetto Charles Robert Cockerell, sulla base del disegno originario del progettista eclettico George Basevi – risultato vincitore del “grande concorso architettonico” bandito nel 1834 – morto nel 1845) componendolo in un monumentale stile neo-classico di genere corìnziaco [Figura 19 e 20].

Figura 19 – Veduta attuale (del 2018) della Facciata dal Museo Fitzwilliam nella Università di Cambridge
Figura 20 – Una delle Gallerie del Museo in una foto tardo-ottocentesca (correzione
ottica di Corrado Gavinelli del 2020)

In sèguito ad altre acquisizioni – a cominciare da quella enorme raccolta del primo grande benefattore moderno Charles Brinsley Marlay che nel 1912 “lasciò al Museo una sorprendente varietà di oggetti tra cui manoscritti miniati, dipinti, stampe e disegni, libri rari e legature preziose, ceramiche e armi europee e orientali, argento, bronzi, vetro, avori, smalti, gioielli, lacche e vesti giapponesi, mobili, tappeti e arazzi” – il patrimonio originario si ampliò notevolmente, raccogliendo capolavori e opere di ogni genere ed entità artistico-artigianale [Figura 21].

Figura 21 – Una veduta dell’interno museale odierno
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